Goblin: The Guardian and the Great God

Molto tempo fa un uomo venne punito con la morte dal re che serviva, ma essendosi macchiato di gravi peccati, non gli fu concesso di andare nell’Aldilà, anzi al contrario, venne condannato all’immortalità.
La spada con cui aveva mietuto così tante vittime e la quale era per lui motivo di orgoglio, divenne la sua condanna e l’oggetto che lo legò alla Terra per sempre, trasformandolo in un essere chiamato Goblin. Lui è vento, pioggia e fuoco. E’ a metà strada fra un dio e un essere umano. Ed osserverà la vita scorrergli davanti inesorabilmente, anelerà la morte senza poterla ottenere. Tutte le persone attorno a lui invecchieranno e moriranno, ma lui resterà sempre uguale, solo, con la sua condanna.
Ma un giorno verrà qualcuno, una persona, l’unica in grado di vedere ed estrarre quella spada e potergli così finalmente dare la pace che cerca. Quella persona, la predestinata, sarà la sua Sposa.

Goblin – The Lonley and the Great God scritto da Kim Eun-Sook e diretto da Lee Eung-Bok, è un drama coreano del 2016 che ha riscosso molto successo sia in patria che all’estero fra gli appassionati del genere. Da qualunque punto lo si osservi, sembra un’opera impeccabile. La regia, la fotografia, la sceneggiatura, la recitazione, le scenografie, le colonne sonore. Ogni singolo elemento è una tessera che va a comporre il disegno di un mosaico di indiscussa bellezza. Ma cosa può portare lo spettatore a venire così fortemente coinvolto da questa storia, al punto da non poter evitare di versare delle lacrime, anche dopo aver già visto il drama più di una volta?
E’ la domanda che mi sono posta e alla quale desidero provare dare una mia personale interpretazione per poter far conoscere meglio quello che io ritengo essere il k-drama più bello di sempre.

Una fiaba classica
La storia ha un incipit narrato da una voce fuoricampo che punta ad introdurre i due elementi chiave di tutto il racconto, ovverosia il Goblin e la Spada, due entità indissolubili e complementari.
A raccontare come il Goblin è diventato tale, è la voce di un’anziana donna che poi scopriamo essere una venditrice ambulante seduta lungo un ponte pedonale, che racconta questa vicenda in tono solenne e pacato, come farebbe una qualunque nonna anziana coi suoi nipotini.
Questo primo elemento da solo, ci porta già a comprendere in che tipo di storia verremo coinvolti, un racconto per alcuni versi assolutamente classico, come una normalissima fiaba o forse ancora un mito, una leggenda. Non a caso, al momento dell’introduzione, questo racconto non ha una fine già scritta. Non si sa se questa Sposa del Goblin esista davvero, se sia mai apparsa, dunque tutto resta sospeso.
E con questa introduzione, il drama comincia.
Questo concetto di fiaba verrà ripreso più avanti da una battuta di Ji Eun Tak la quale (non è uno spoiler dato che viene già rivelato nel primo episodio) sembra proprio la candidata a diventare la famosa Sposa del Goblin. Durante una conversazione col Goblin, menziona infatti alcuni racconti classici, come la Bella e la Bestia e il Principe Rannocchio, perché in effetti, la storia, il mito che fa da filo conduttore a tutta la vicenda, ha un che di molto somigliante. Parliamo dopotutto di un uomo punito in maniera grave per i peccati da lui commessi in vita, un uomo che vive prevalentemente da solo, perennemente angustiato dal peso della sua punizione, che aspetta che arrivi la prescelta, colei che lo salverà dalla propria pena. Sin dal principio, insomma, apprendiamo che la chiave del successo sarà proprio l’amore, quell’elemento imprescindibile in ogni racconto, quel potere unico e onnipotente che porterà sempre verso il lieto fine.
Ma sarà davvero così?

Se Goblin fosse stato come una fiaba qualunque, o un normalissimo k-drama romance, di certo non avrebbe riscosso tutto il successo che ha ottenuto. O magari lo avrebbe fatto, ma nei nostri ricordi la storia avrebbe finito per perdersi assieme a decine di molte altre pressoché simili.
Per far sì che la trama diventasse ineguagliabile, è stato necessario alzare parecchio il tiro. E tutti noi sappiamo che niente rende più indimenticabile una storia, di una tragedia.
Raggiungiamo dunque un punto di fatalità altamente drammatica. Quando finalmente tutto sembra volgersi per il meglio, ci viene ricordato che c’è un destino che per il Goblin deve ancora compiersi.
Il Goblin deve morire, ma per farlo ha bisogno della sua Sposa, questo già lo sappiamo. E abbiamo anche capito che la Sposa in sé da sola non basta, seve l’amore, quello vero, autentico, proprio quello osannato da tutte le fiabe.
E il Goblin lo trova, l’amore, proprio nella sua Sposa. Ed è così felice che, all’improvviso, dopo 900 anni, non vuole più morire. Quella stessa immortalità che per lungo tempo era stata la sua condanna e il suo tormento, ora sembra un dono, perché gli ha permesso di incontrare e innamorarsi della sua Sposa.
Ma questo è contradditorio e non può avvenire. La Sposa è nata con un unico scopo, quello di porre fine alla vita del Goblin. Se non adempie al suo dovere, il significato stesso della sua vite verrà a mancare e allora sarà lei a doverne pagare il prezzo.
E così capiamo di essere davanti a un vero e proprio amore impossibile.

Due storie in una
Non è un fatto raro che in una serie televisiva, oltre alla storia principale, ce ne sia una (o più di una) secondaria, una cosiddetta side-story.
Le side-story non sono sempre semplici da gestire. Molte volte rischiano di diventare superflue, altre al contrario portano a distogliere l’attenzione da quella principale (la main-story, appunto).
Eppure in Goblin assistiamo a un raro caso in cui le due storie che ci vengono presentate, corrono perfettamente in parallelo l’una all’altra, senza ostacolarsi, anzi addirittura si completano, permettendoci di raccogliere elementi essenziali per ricostruire il quadro generale, quel mito, quella leggenda da cui tutto è partito.
Il protagonista maschile della side-story è un personaggio davvero singolare, che probabilmente in altre circostanze non immagineremmo mai di trovare affiancato ad un goblin. Stiamo parlando infatti di un Cupo Mietitore, un dio della morte, un traghettatore di anime, che per ragioni apparentemente fortuite, si ritrova a convivere proprio con il nostro Goblin.
E ha la sua vita da portare avanti. Lo vediamo spesso all’opera in tutta la vicenda, mentre guida le anime dei defunti nell’Aldilà.
Questo finché non finisce per imbattersi in una donna di cui si innamora. Ma la donna, non è una donna qualunque. Si tratta infatti della proprietaria di un ristorante di pollo dove Eun Tak lavora part-time. E qui avviene il primo contatto con i due mondi, inizialmente distinti.
E non è che l’inizio.

La legge del Contrappasso
Chiunque abbia studiato la Divina Commedia, ricorderà senz’altro il concetto di “legge del contrappasso” una legge che impera in tutto l’Inferno, mediante la quale vengono impartiti i castighi ai peccatori. Secondo questa legge, i peccatori vengono puniti in due modi: analogia, oppure contrasto. Nel primo caso, la pena è uguale al peccato di cui si viene accusati, perciò si patirà in eterno del medesimo male che ha portato quella persona all’inferno. Nel secondo invece, la pena è di natura esattamente opposta, ed enfatizza quella del peccato.
Qualcosa di simile scopriamo avvenire anche fra i Mietitori di questo mondo, i quali sono anime di defunti umani, ai quali non è concessa la vita dopo la morte, a causa di un grave peccato che hanno commesso. Vengono dunque puniti, privati di tutti i loro ricordi passati, della loro identità e costretti a accompagnare nell’Aldilà le anime di altri morti, per un periodo di tempo indefinito.
Questa è la pena a cui è sottoposto il nostro Mietitore, pena che gli causa l’impossibilità di relazionarsi alla sua innamorata in una maniera normale e che gli impedisce in un certo senso di trovare la pace, tormentato da emozioni residue a cui non riesce a dare una spiegazione logica.
L’unico modo per venirne a capo, sarebbe riuscire a riappropriarsi dei propri ricordi perduti e questa impresa lo porterà a comprendere una verità terrificante sul suo conto e a capire soprattutto che nulla è stato lasciato al caso. Il fatto di ritrovarsi a vivere proprio con il Goblin, non era una coincidenza, ma un volere divino, così come non era una coincidenza, che fra tutte le proprietarie di ristorante presenti in città, ad assumere Eun Tak sia stata proprio Sunny.

Il Ciclo delle Vite

Un Amore da Fiaba e un Amore Impossibile sono certamente elementi che già da soli, combinati assieme, possono rendere la trama di una serie assolutamente unica, ma Goblin non si limita a questo.
Per fare in modo che anche la storia del passato, assieme a quella del presente, potesse avere una sua conclusione, si è inserita una terza caratteristica, quella dell’Amore Predestinato, che in realtà capita spesso di trovare nei drama coreani. Anche nei romance più semplici, spesso e volentieri ci si imbatte in vicende che hanno come protagonisti una coppia che in realtà si conosceva già da bambini/giovanissimi, che si è persa di vista e poi ritrovata in età adulta, quasi ci fosse una credenza nel fatto che ciò che è predestinato a noi, da noi tornerà sempre.
E non è insolito nemmeno sentir parlare di reincarnazioni e vite precedenti, proprio per via dell’influenza religiosa/culturale di questo Paese.
In Goblin questo elemento viene introdotti con un’affermazione molto interessante che viene fatta dalla stessa Eun Tak, che sostiene che ogni essere umano ha quattro vite: una in cui semina, una in cui annaffia, una in cui raccoglie e una in cui gode dei frutti.
Questo elemento, apparentemente difficile da comprendere, sarà essenziale proprio per l’epilogo di tutto il racconto, perché permetterà a questa tragedia di avere una speranza. Se Eun Tak è alla sua prima vita, questo significa che potrà incontrare il Goblin ancora altre tre volte.
E con questa speranza nel cuore, il nostro dolore e la nostra tristezza vengono ripagati, sarà proprio lei a farci sognare che il Goblin e la sua Sposa potranno incontrarsi di nuovo e finalmente amarsi senza ostacoli. Quella speranza, seppure piccola, sarà la nostra consolazione più grande.

Un finale aperto…?
Goblin è un drama che non ha esattamente un happy ending proclamato, ma si chiude proprio con questa speranza che culmina nell’ultima toccante scena in cui di fatto vediamo l’accenno della realizzazione di questo desiderio.
Dunque non c’è un vero e proprio letterale: “E vissero per sempre felici e contenti” ma tutto viene lasciato sospeso, benché gli intenti si percepiscono in maniera chiara.
E’ stata una brutta scelta? Era meglio un finale più delineato?
Onestamente credo di no. I finali aperti non sono sempre facili da gestire, perché rischiano di lasciare un senso di incompletezza all’opera e suscitare insoddisfazione a chi ne entra in contatto, ma esistono alcuni casi in cui, con le dovute accortezze, diventano la soluzione più congeniale, proprio per evitare di scadere nel banale.
Qualche anno fa circolava la voce di un possibile sequel dell’opera, ma la notizia è stata smentita dagli stessi autori, i quali hanno dichiarato che non ve n’era la necessità e personalmente nonostante un piccolo dispiacere solamente di tipo affettivo, ammetto di aver apprezzato questa scelta. Troppe volte veniamo costantemente sommersi da sequel di serie, film e romanzi che rischiano molte volte di impoverire la prima storia, con autori messi sotto pressione per dover riuscire a eguagliare i traguardi precedenti e che finiscono per non sapere più dove andare a parare.
Un secondo Goblin per quanto affascinante, faticherebbe parecchio a reggere il confronto col primo, quindi, per questa volta, ci accontenteremo della nostra speranza.

Si incontrarono, il Goblin e la Sua Sposa e il destino si compì.
Ma proprio a causa di questo destino, il loro amore non avrebbe potuto durare e questo per il Goblin fu motivo di immane dolore, ancora più grande, a tal punto che, anche una volta tornato al nulla, non riuscì comunque a trovare la pace che così tanto aveva desiderato.
Non sopportava l’idea di aver perso la sua Sposa per sempre, così supplicò Dio di restare dove si trovava e di poter tornare da lei come il vento, come la pioggia e la prima neve d’inverno.
Ma il Goblin ignorava che lei avesse trovato il modo per riportarlo indietro, grazie ad un patto che sugellarono prima di separarsi.
E così tornarono, ma di nuovo non fu per molto. La difficoltà stava nel fatto che a differenza sua, la Sposa era umana e quindi mortale, più facilmente esposta alle fatalità del mondo, dalle quali nemmeno lui, mezzo dio, mezzo uomo, poteva riuscire a proteggerla.
Ma lei alla fine riusciva sempre a tornare da lui, ad ogni vita.
Dunque, se qualche volta vi capiterà di vedere piovere all’improvviso, non preoccupatevi troppo. Probabilmente è il Goblin, che è triste. Starà aspettando di re-incontrare la sua Sposa, fra una vita e l’altra

Goblin: The Guardian and the Great Godultima modifica: 2023-03-16T13:12:10+01:00da gem-y
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